LETTERA 176 Gennaio - Febbraio 2014
Editoriale:
COME UN PICCOLO GUSCIO IN MEZZO AL MARE IN TEMPESTA
Autore:
Paola e Giovanni Cecchini Manara - Responsabili Regione Nord Est B
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Viviamo in un momento pieno di tempeste. Non solo il Ciclone Hayan nelle Filippine e l’alluvione in Sardegna che hanno creato così tanta
distruzione e dolore, ma anche nel nostro piccolo quotidiano ci troviamo ad affrontare tempeste di ogni genere, da quelle dentro la nostra
coppia e famiglia, come le preoccupazioni per i nostri figli che scelgono una strada che non è proprio quella che noi avremmo voluto per loro,
oppure la fatica di accompagnare i nostri genitori fragili e indeboliti, a quelle del luogo dove viviamo e lavoriamo, con le relazioni
difficili, il lavoro che a volte manca, l’immigrato che incontriamo per strada, così lontano dalla sua terra. La barca sulla quale ci sentiamo
di essere è la barca insicura della nostra umanità, fragile, timorosa e a volte spersa, che ci pare galleggi in modo precario sulle acque della
nostra esistenza.
In questo tratto della nostra vita di coppia e di famiglia, ci sono state volte in cui è capitato, magari nei momenti più tranquilli, in quei
momenti che ci sembrava che tutto andasse per il meglio, che le acque del nostro vivere, del nostro quotidiano si siano improvvisamente
agitate, siano state mosse da venti improvvisi, inaspettati, e così siamo stati sballottati e abbiamo scoperto la nostra precarietà.
Ecco, lì abbiamo temuto di affondare e abbiamo sentito il peso di tutti i nostri limiti e delle nostre incapacità. Perché di fronte alla
scoperta di quanto può essere agitato il mare che ci circonda non ci sentiamo sempre capaci di trovare le risorse necessarie per continuare ad
avanzare e rischiamo di rimanere paralizzati dalla paura, fermi in mezzo a quel mare agitato o di affondarvi.
Quante volte abbiamo pensato di poter scegliere di scendere da quella barca e tornare ai lidi tranquilli dai quali eravamo partiti. Ma non
possiamo scendere, ci viene chiesto di proseguire, di fidarci di quella fragile barchetta che siamo noi, che sono le persone che ci
accompagnano, la nostra coppia, la nostra famiglia.
In quei momenti, abbiamo sperimentato, possiamo accorgerci che non siamo soli: Gesù ci viene incontro. Quella persona che ci tende la mano,
quella parola di conforto che ci accarezza e ci sostiene, quel nostro ricercare il dialogo nella pre-ghiera e, in alcuni momenti speciali, la
preghiera di chi ci vuole bene, tutto questo alcune volte ci ha fatto sentire quasi fisicamente la presenza di Gesù accanto a noi, sulla nostra
barca.
Abbiamo scoperto che il suo avvicinarsi, il farsi prossimo a noi non risponde sempre alle nostre aspettative, non risolve miracolosamente i
problemi che affrontiamo, non placa la tempesta. Forse per questo noi abbiamo timore, perché facciamo fatica a distinguere il suo volto, la sua
presenza. Egli ci sorprende sempre e ci mostra come la via da precorrere non è quella di tornare sui propri passi, di sperare in un intervento
risolutivo, che ci solleva dalla nostra precarietà, dalla nostra fragilità e dal nostro dolore.
Al contrario Gesù sta con noi, ci incoraggia a proseguire e ci incontra là dove noi siamo, condividendo la nostra vita; sale sulla nostra
fragile barca insieme a noi.
Gesù ci mostra tutta la fiducia che ha in noi, nell’uomo, nonostante l’uomo, e si mette accanto a noi nell’attraversare il mare agitato della
nostra esistenza.
Quando permettiamo a Gesù di salire sulla nostra barca, allora troviamo la giu-sta rotta che ci consente di attraversare le acque e di arrivare
all’altra riva. Ma non perché per un gesto miracoloso ci salva dalle acque in tempesta, non perché ci viene tolta la stanchezza o la sofferenza
del nostro vivere, ma perché con Lui al nostro fianco facciamo discernimento, diventiamo capaci di riconoscere nel momento di incertezza e di
fatica le risorse che ci fanno andare avanti, di compiere la traversata sfidando anche quel vento che agita le acque.
Ci piace ritornare al Vangelo, scorrendo il quale riscopriamo ancora che l’ascolto della Parola come luogo nel quale attraversare il mare della
nostra vita è la caratteristica del credente (“sulla tua parola getterò le reti” Lc 5,5). Ci accorgiamo che la Parola del Signore non è sempre
(o mai?) quella che noi ci aspetteremmo, che per certi versi proprio il prendere sul serio il Signore ci spinge a non evitare il faccia a
faccia con il mare sperimentando insieme la sua forza che rinvigorisce (“Sono io, non abbiate paura!” Gv 6,20) e invita a far verità dentro di
noi, aprendo alla rinnovata possibilità di una professione di fede non fuori di noi e alla fine, sulla terra ferma, ma “dentro la barca”
tenendo gli occhi fissi su di lui mentre attraversiamo il mare.
È il volto squisitamente umano di Gesù la vera garanzia che possiamo farcela anche nel momento più buio, anche nel momento più doloroso del
nostro vivere.
Se impariamo a riconoscere il volto del Signore nel volto dell’altro che ci sta accanto, allora il nostro essere coppia, famiglia, il nostro
appartenere ad una comunità, il cammino dell’Ėquipe diventano le risorse che ci permettono di arrivare all’altra riva, di superare le paure che
ci paralizzano, di fare della nostra esistenza un dono per gli altri e una esperienza piena.
L’esperienza in équipe è anch’essa piccola barca nella quale vivere la comune avventura della traversata: luogo di condivisione delle
esperienze; luogo in cui reciprocamente testimoniarci la possibilità di fidarsi della Parola; luogo in cui sperimentare l’uscita dall’
isolamento nel quale ci costringono spesso le nostre paure e il coraggio di gridare il bisogno di essere salvati; luogo nel quale tendere la
propria mano verso l’altro e verso l’Altro.
Ecco allora che diviene per noi una esigenza l’apertura verso la chiesa e il mondo: è la fedeltà al Signore risorto e salito presso il Padre
che ci chiede il coraggio di abitare da credenti questo mondo senza pensare di poterci stabilire sulla terra del “già noto” e il coraggio di
affrontare il mare in compagnia dei fratelli che il Signore ci ha dato come compagni: il nostro coniuge, l’END, le nostre comunità, che sono
occasione in cui cercare una “sapienza della vita” e luogo in cui condividere la passione per la storia degli uomini.
Non è una rotta facile, immediata, pienamente visibile. Tante volte il buio della notte ci impedisce di distinguere gli orizzonti, di vedere e
di capire. Quello che ci è richiesto è un atto di fiducia, proprio come quello di Gesù nei nostri confronti, Gesù che per l’uomo e sull’umanità
ha messo in gioco la propria vita. L’invito forte che ci viene rivolto è di cogliere nei gesti che il nostro quotidiano ci offre le ricchezze
dell’incontro con l’altro, di cercare con la nostra povertà di farci dono noi stessi all’altro. Allora forse riusciamo davvero a farci
accompagnare dalla presenza salvifica e ristoratrice di Gesù che ci consente di attraversare le acque e toccare rapidamente l’altra riva. E
scopriremo che toccare quella riva non significa essere arrivati, perché il nostro viaggio continua; non siamo meno fragili o bisognosi di
prima, ma ogni volta siamo capaci di uno sguardo nuovo, capace di speranza e di coraggio. Il coraggio della testimonianza, della sicurezza nel
sapere che Gesù è sempre pronto a salire sulla nostra barca e ad avere fiducia in noi, soprattutto quando siamo noi a non avere fede.
Nell’Amore che riconosciamo in questa volontà caparbia di Gesù di farsi accanto all’uomo, ad ognuno di noi, di condividere con noi la strada,
si colloca la nostra continua possibilità di rimetterci in gioco, di costruire con fiducia un oggi che con -tiene il sapore del domani per noi,
per i nostri figli, per le persone che incontriamo tutti i giorni e per quelle lontane nel tempo e nello spazio che non incontreremo mai. Ci
rendiamo conto che noi siamo in un progetto più grande solo un piccolo guscio, una barchetta piccola, ma non per questo meno importante, nel
grande disegno di amore di Dio. Crediamo fermamente che il Signore ci voglia pienamente felici della nostra esistenza, anche se a volte la
nostra fragilità offusca l’orizzonte e salire in barca per lasciare la riva conosciuta non è facile. Sapere che Egli ci accompagna, che non
disdegna la nostra compagnia, anzi che la cerca e la desidera, ci rende capaci di cose grandi, anche se a volte le riusciamo a riconoscere solo
dopo, quando finalmente tocchiamo, come gli Apostoli, la riva.